Benvenuti in questo tutorial dove andiamo a scoprire cosa sia la fotografia vegana. Una nuova filosofia fotografica nata, spontaneamente e a macchia di leopardo, come reazione all’eccesso di postproduzione e manipolazione delle immagini.
Il senso della fotografia vegana
Sotto questo curioso nome di “fotografia vegana” si nasconde un movimento di pensiero, trasversale e diffuso in tutto il mondo della fotografia, che sta facendo rapidamente proseliti.
Nato in maniera spontanea in vari luoghi del globo, in particolare negli USA, è in sostanza una “reazione” al dilagante eccesso di manipolazione digitale delle immagini.
Il problema – ossia la deriva della manipolazione digitale delle foto – si è originato negli anni recenti grazie alla combinazione di due fattori:
- esplosione dei social
- diffusione di strumenti di post produzione
Due fattori peraltro enfatizzati dalla sparizione dei modelli canonici di riferimento per la fotografia.
Per chiarire: fino a 10/12 anni fa il riferimento per lo standard qualitativo della fotografia erano riviste di prestigio, come National Geographic, o libri di case editrici superbe. Loro stabilivano lo stile e il termine di paragone per le immagini.
L’avvento e l’esplosione dei social, con la conseguente perdita di importanza della rivista cartacea, ha decretato uno spacchettamento e una moltiplicazione di stili e standard. E si è finito per perdere il senso di “termine di paragone”.
Oggi tutto è lecito perchè tutto diventa termine di riferimento.
In parallelo si è assistito a una “sparizione” dei professionisti che erano a loro volta i riferimenti di qualità e stile. Non che siano spariti in senso reale, ma sono spariti da quella che oggi è la piazza dove ci si confronta: i social.
Si sono persi nel mare delle immagini volatili della rete, confusi tra milioni di “social guru” della fotografia.
Differenza tra professionisti e fotografi-social
Fino a 10 o 15 anni fa un fotografo diventava famoso solo ed esclusivamente grazie alla qualità delle sue fotografie.
E lo diveniva solo dopo essere stato esaminato e sdoganato da photoeditor di altissimo livello e capacità critica. E dopo aver visto le sue foto pubblicate da riviste che – a differenza di oggi – pagavano fior di denaro per poter usare le sue foto.
Chi riusciva era quindi certamente un professionista; poteva dunque diventare un riferimento e tutti gli altri lo usavano come termine di paragone.
I social hanno cambiato le regole del gioco, ma questo non significa che lo abbiano fatto in meglio. Anzi.
Oggi quello che sembra contare è il numero di “mi piace” sulle foto, di follower della pagina, di iscritti al gruppo. Numeri, solo numeri dietro ai quali spesso c’è il nulla.
Se non sono utenti fittizi, come spesso capita, sono persone che nella quasi totalità dei casi non hanno alcuna competenza specifica nel campo della fotografia.
Però oggi un sedicente “fotografo” che è riuscito a convincere 10mila persone a mettere “segui” alla sua pagina ha più peso e notorietà di un serio professionista. Uno che ha nel curriculum fior di lavori, magari copertine di National Geographic, ma che non è bravo nel socialing o non ha tempo da dedicargli.
Questa è una anomalia che influisce gravemente sul fattore qualità della fotografia.
Il valore dei like
Prima la qualità di una foto veniva decisa da due fattori:
- essere validati da photoeditor professionisti
- venire pagati per poter usare le foto
Il photoeditor di una rivista o una casa editrice, o una agenzia di comunicazione, decideva che il suo cliente doveva spendere dei soldi per avere le tue foto. E rispondeva personalmente. Questo faceva di te un professionista apprezzato e valido.
Oggi la validazione di un “fotografo” deriva solo ed esclusivamente dal numero di like che prende sulle sue foto.
Al più dal fatto che un sito usi – gratis – una sua foto. Il massimo assoluto del trionfo arriva quando una rivista o un editore pubblicano su carta stampata qualche sua foto, ovviamente gratis.
Sempre gratis perchè vale il concetto, culturalmente inquinante, dello scambio: io ti regalo visibilità, tu mi regali la foto.
Questo spiega il motivo della corsa ai like che affanna quasi tutti i “fotografi social”. Lo sforzo è quello di sfornare immagini che prendano like, perchè più ne prendi più dimostri di essere un guru.
Questo non considerando che quei like vengono per lo più da persone che di fotografia sanno poco o nulla, quindi il loro valore reale in termini di giudizio qualitativo è zero.
Per contro però soddisfano l’ego del “fotografo social” perchè lo illudono di essere un vero fotografo, di essere bravo, spesso di essere super. A volte di essere un guru. Per cui passa a insegnare, non si sa bene cosa, a gente che paga.
E qui si svela l’arcano.
Apparire per guadagnare
Il motivo per cui molti sfornano immagini cattura-like è legato alla gratificazione personale, allo sfamare l’ego.
Ma per altri è finalizzato al denaro. Diventare un guru della fotografia social per vendere:
- workshop
- lezioni
- plugin
- pannelli
Molto spesso queste attività sono fatte in nero, dato che quello della fotografia non è il loro mestiere, ma solo un secondo lavoro parallelo.
Inoltre alcuni usano queste “credenziali” virtuali per chiedere alle aziende produttrici sponsorizzazioni e prodotti in regalo.
Se questo all’inizio funzionava, perchè le aziende abbocavano ai numeri di like e follower, oggi le cose sono cambiate. Le aziende hanno capito che la maggior parte di questi numeri sono falsi, gonfiati, a volte anche comprati.
Immagini cattura-like
Questa corsa al gradimento social spiega come mai dalla normale postproduzione si sia rapidamente passati a una vera esplosione della manipolazione digitale delle immagini.
La cosa grave è che se ne è persa la consapevolezza. Tanti ormai trovano normale fare della computergrafica sulle immagini, spacciandola poi per “fotografia”.
Si vedono cose surreali, molto spesso vivivamente incredibili quando addirittura non pacchiane.
Cito solo alcuni esempi.
Il caso classico è la Via Lattea:
- fotografata separatamente dal terreno e poi sovrapposta
- enfatizzata artificialmente con pennelli, effetti o altre applicazioni
- inserita in un secondo tempo su scene notturne dove sarebbe del tutto invisibile
- completamente deformata in panoramiche improbabili
- collocata in scene con paesaggi illuminati a giorno
Ci sono poi i paesaggi, dove vengono compiuti interventi di manipolazione pesantissimi, come:
- aggiunta di colore non naturale
- inserimento di nuvole e interi cieli
- sovrapposizione di bagliori del sole non esistenti
- modifica delle luci calde/fredde
E potrei continuare per ore.
Tutto questo viene fatto per fare colpo sui social e ottenere più like, per gli scopi che abbiamo visto sopra.
Assenza di fotografia nelle immagini
L’aggravante sta però nel fatto che questa deriva computergrafica sta inaridendo le immagini, estinguendo la fotografia.
Parlo volutamente di immagini e non di fotografie, perchè sono due cose diverse. Le immagini sono raffigurazioni visive di qualcosa. Le fotografie sono immagini che “parlano”.
Le immagini colpiscono e stupiscono l’occhio: colpi di colore. Le fotografie sono immagini che parlano all’anima e alla mente attraverso l’occhio.
Sono due cose del tutto diverse.
Ma una immagine, per poter diventare fotografia, per poter parlare ad anima e mente, deve avere dentro un contenuto che sia leggibile dagli occhi e trasferibile a mente e anima.
Quel contenuto esiste solo se il fotografo lo ha pensato e inserito al momento dello scatto. Non è possibile inserirlo con il computer, in postproduzione.
Per questo la quasi totalità delle immagini che si vedono sui social, prodotte da una schiera di social-fotografi a caccia di like, non sono fotografie,
Solo macchie di colore destinate a stupire come un fuoco d’artificio e come un fuoco d’artificio svanire in un secondo.
Il guaio che è i sedicenti guru della fotografia-social trasmettono questa mentalità a chi si avvicina alla fotografia, minando le loro chance di crescere davvero.
Ritorno alla foto-grafia: la fotografia vegana
Da questo scenario, che per tanti è inaccettabile proprio perchè sta letteralmente uccidendo la fotografia, nasce l’idea della fotografia vegana.
Sorta spontaneamente a macchia di leopardo si è rapidamente consolidata come una vera filosofia fotografica, che pone al centro di tutto il concetto della comunicazione visiva.
Per essere definita tale, la fotografia deve comunicare, alla mente e all’anima. E per farlo deve:
- nascere da una idea
- avere una struttura
- basarsi su una inquadratura
- offrire un percorso visivo
- trasmettere concetti ed emozioni
Ma soprattutto l’inquadratura deve essere completa e perfetta.
La postproduzione è oggi accettata come uno sviluppo del negativo digitale, quindi nessun si sognerebbe di essere talebano al punto da escluderla.
Ma chi fa fotografia vegana si pone dei limiti etici nella postproduzione. Anche perchè una fotografia fatta secondo i veri canoni della Fotografia ha bisogno davvero di ben poco dopo lo scatto.
Solo di quegli interventi, più o meno complessi, che servono a far emergere il meglio dallo scatto realizzato.
Vi suggerisco il tutorial dedicato a differenze e ruoli dei tre livelli dell’intervento sulle immagini digitali:
- postproduzione
- fotoritocco
- fotomontaggio
La fotografia vegana prevede il ricorso alla sola fase della postproduzione intesa come definizione, estrazione ed esaltazione di quello che è contenuto nell’immagine.
Esclude invece qualsiasi aggiunta di elementi di ogni genere, da colori a oggetti.
Immagini composite
Esistono poi le immagini composite, ossia ottenute attraverso tecniche miste di scatto-postproduzione che vanno a lavorare su gruppi di scatti.
Per realizzarle è impossibile prescindere da specifici interventi di lavorazione al computer che vanno ben oltre le regole sopra dette della fotografia vegana in senso stretto.
Ma anche in questo caso, se per arrivare all’immagine finita è necessario eseguire serie di scatti e processarli al computer con tecniche a volte molto complesse e sofisticate, il concetto non cambia.
Alla base c’è sempre un contenuto fotografico forte, strutturato e impeccabile. E dopo il processo per ottenere l’immagine sono comunque esclusi gli interventi di aggiunta di qualcosa, sia esso colore, o elementi.