Che cos’è l’esposizione
In questo tutorial andiamo ad approfondire, e soprattutto capire, la teoria di base di uno degli argomenti più ostici della fotografia: l’esposizione.
Con la pellicola diapositiva l’esposizione era l’incubo di tutti i fotografi. Qualsiasi errore era irrimediabile. E, cosa peggiore, si scopriva solo al momento dello sviluppo; ore o giorni dopo lo scatto.
Col digitale, “scatto e vedo”, tutto sembra più facile. Ma non è così.
L’esposizione sembra diventata più facile perchè la foto è “visibile” sul display, e per giunta in maniera immediata. Ma “esporre correttamente” una scena non è la stessa cosa che vedere sul display una foto che sembra “uscita bene”.
Spesso il fotografo neofita vede il display e crede che, vedendola bene li, la foto sia ok. Sul pc scopre l’amara realtà.
Altri invece tentano di gestire tutte le aree della foto in maniera perfetta. E ovviamente spesso non riescono nell’ìmpresa per ragioni fisiche o tecniche a loro ignote.
Oppure, viceversa, per esporre bene delle zone dell’immagine appariscenti ma in realtà prive di importanza… perdono tutto il resto.
La teoria dell’esposizione
Questi problemi hanno origine da una certa confusione sulla base teorica del concetto di esposizione.
Questa confusione porta inoltre all’uso inconsapevole, e spesso esagerato, delle tecniche HDR, che vengono immaginate come la soluzione perfetta per tutti problemi di gestione dell’esposizione.
In questo campo suggerisco anche di leggere il tutorial sulla gamma dinamica, altro elemento fondamentale ma spesso del tutto ignorato.
Andiamo quindi a fare luce in questo terreno paludoso e infido.
La scala dei grigi
Partiamo dalla base teorica, e per farlo andiamo a esaminare la scala dei grigi, che simula le diverse intensità di luce presenti in una fotografia.
La scala, ovviamente, è solo una semplificazione didattica della realtà.
Essa va infatti dal bianco al nero, ma questi due colori non rappresentano il bianco e il nero reali di una possibile scena fotografata, bensì le zone con piena illuminazione e quelle senza illuminazione.
Questo, indipendentemente da quale sia il colore che riceve la luce.
Luce riflessa e luce diretta
Per capire meglio spieghiamo un concetto base, ossia la differenza tra:
- luce diretta (detta anche incidente)
- luce riflessa
Per farlo immaginiamo di fotografare un panorama in un bel giorno di sole.
Tutte le aree illuminate, vicine e lontane, ricevono quindi dal sole la stessa “quantità” di illuminazione.
La luce che illumina la scena viene detta appunto diretta (o incidente); in questo caso è quella solare ed è uguale dappertutto. In studio sarebbe quella della lampada o del flash.
Ma sappiamo anche che i colori riflettono in maniera diversa la luce che ricevono.
Essa infatti prende il nome di luce riflessa ed è quella che il nostro occhio percepisce; quella che ci fa “vedere” le cose. E il diverso modo in cui essa viene riflessa dagli oggetti ne determina luminosità e colore.
Come base sappiamo che:
- bianco: riflette tutta la luce che riceve.
- nero: la assorbe tutta.
- grigi: la riflettono in misura ridotta rispetto al bianco. Più la assorbono, più ci sembrano scuri.
Il colore
Inoltre, i diversi materiali hanno la capacità di assorbire e riflettere selettivamente i vari colori di cui è composto lo spettro della luce bianca; che sono quelli dell’arcobaleno, per capirci.
Il bianco riflette totalmente tutti i colori e il nero li assorbe tutti. Idem i grigi, che lavorano sempre su tutta la scala dei colori.
Ma il rosso no, ad esempio. Quello che noi vediamo rosso riflette la fascia del rosso e assorbe gli altri colori (per semplificare). Per questo lo vediamo rosso.
NOTA: Si tratta di una forte semplificazione didattica, che sorvola sul concetto di dominanza di colore.
Ma ovviamente riflette la componente rossa della luce nella misura in cui è chiaro o scuro, ossia tenda più al nero o al bianco.
Luce: luminosità e colore
La luce che il nostro occhio vede è infatti caratterizzata da una componente luminosità e una componente colore.
Anche in una fotografia, o una immagine digitale, ciascun punto (pixel) è infatti associato a un valore colore e un valore di luminosità.
Tant’è che se applichiamo la funzione “desatura”, ossia togliamo la componente colore alla foto, a ciascun pixel restano solo i “grigi”, che sono appunto la componente luminosità.
Da questo concetto nasce l’immagine test detta “scala dei grigi”, composta da bande di uguale dimensione con colori che vanno da nero a bianco (agli estremi) passando per varie tonalità di grigio.
Ne esiste anche in versione materiale stampata su carta dalla Kodak.
Fotografata con una esposizione corretta la scala dei grigi appare col nero perfettamente nero, ossia privo di luminosità, e il bianco totalmente bianco, ossia con il valore di luminosità al massimo.
Trasportato nella realtà questo significa che se esponiamo bene la nostra scena, nella foto le aree prive di luce risulteranno giustamente nere, quelle con la massima luminosità saranno bianche e il resto spazierà nella gamma dei grigi.
Come misura l’esposizione la fotocamera
Ma quando esponiamo con la nostra fotocamera, cosa accade? O meglio, come misura la luce della scena il suo sistema esposimetrico?
Per quanto voglia essere avanzato e intelligente, esso si basa sempre e comunque sulla valutazione della luce riflessa.
Non sulla luce diretta.
Questo vuol dire che la fotocamera non espone per la luce che realmente arriva sulla scena, che sarebbe la cosa corretta e soprattutto indipendente da qualsiasi fattore falsante.
Ma va a misurare la parte di questa luce che viene riflessa dalla scena.
Siccome sappiamo che i colori riflettono la luce in maniera diversa, ecco apparire un potenziale fattore di errore nella misura.
Gli errori di misura dell’esposimetro
L’esposimetro interno della fotocamera è assai preciso e affidabile, ma ci sono situazioni di ripresa che possono facilmente ingannarlo. Vediamo le due principali.
Colori chiari e scuri
Immaginate la stessa luce che illumini una distesa di neve e un muro di edera verde scuro.
- Sappiamo che la luce diretta è la stessa, ma la luce riflessa no.
- La neve chiara riflette tanta luce, l’edera scura poca.
- Ma la macchina non sa cosa sto fotografando.
Quindi essa interpreterà la neve come una scena con tantissima luce diretta e l’edera come una con bassa illuminazione. Noi però sappiamo che la luce diretta è uguale per entrambe, ed è la luce riflessa a essere diversa.
Putroppo la macchina legge quella. E sbaglia esposizione.
Sottoesporrà drasticamente la neve, sovraesponendo l’edera.
Sorgenti di luce
Altra situazione che inganna il sistema esposimetrico è la presenza nella scena di una forte sorgente luminosa.
Il classico è il sole in un controluce. Si presenta come una forte sorgente di luce puntiforme, ma l’esposimetro non sa cosa sia e la considera semplicemente come un surplus di illuminazione dell’intera scena.
Per cui sottoespone in maniera visibile.
Nelle foto notturne, con fari, insegne e lampioni e l’assenza di una fonte di luce globale, la situazione diventa molto più complicata.
Sovra e sotto esposizione
Dopo aver visto le cause principali di un errore nell’esposizione, che porta a una sovraesposizione o sottoesposizione involontaria, vediamone gli effetti.
Osserviamo cosa accade alla nostra scala dei grigi se effettuiamo un bracketing da 3 stop, ossia:
- scatto sovraesposto a +3 stop
- scatto esposto correttamente
- scatto sottoesposto a -3 stop
Negli scatti esterni otteniamo due situazioni ben diverse.
Nello scatto sottoesposto a -3 spariscono il bianco e i grigi chiari.
In quello sovraesposto a +3 stop vediamo sparire i grigi scuri. Il nero non cambia (e quindi non sparisce) solo perchè essendo del tutto privo di luce (nella figura di test usata), per quanto si sovraesponga non emerge mai luce e quindi resta nero.
Questo accade ovviamente solo in questo test fatto modificando l’esposizione con camera RAW su una immagine di prova. Nella realtà un pannello nero sovraesposto diventa grigio.
Se poi facciamo un bracketing da 5 stop la situazione precedente si estremizza ancor di più.
Sullo scatto sottoesposto a +5 sono praticamente spariti tutti i grigi, sostituiti dal bianco o da grigio chiarissimo. In quello sovraesposto a -5 tutti i grigi sono diventati neri o grigio scurissimo.
Questo naturalmente è un test fatto modificando appunto l’esposizione in maniera virtuale con Camera RAW su una immagine digitale.
Trasferiamo ora questa esperienza nel reale, ossia sulla foto che abbiamo visto sopra desaturata.
Non servono commenti e spiegazioni per dire che anche un errore di 1 stop nell’esposizione crea danni all’immagine. Non parliamo poi dell’effetto di un errore maggiore.
Esposizione e recupero in post produzione
Molti sono però convinti che questo tipo di errore sia ormai del tutto irrilevante. Credono, o gli è stato fatto credere, che PS risolva tutto.
Vediamo se è vero.
Questi naturalmente sono test fatti su una singola immagine che è stata sovra e sottoesposta in camera RAW, per poi essere recuperata allo stesso modo.
Situazione reale con cielo nuvoloso
Vediamo ora cosa accade nel reale.
Questo è un bracketing reale da -3 a +3 stop, con incrementi di 1 stop. Si nota come gli estremi siano davvero compromessi, rispettivamente nelle aree scure e in quelle chiare.
Vediamo ora il recupero dell’errore di esposizione fatto in camera RAW modificando (dello stesso valore del bracketing) il parametro “esposizione”.
A sinistra la foto originale, a destra recuperata. La foto centrale è quella con l’esposizione “corretta” indicata dalla fotocamera.
La cosa che si nota immediatamente è il forte degrado del cielo nelle foto sottoeposte e recuperate.
Quello che non si nota in queste miniature, ma diventa evidente ingrandendo al 100%, è l’aumento del rumore nelle zone d’ombra recuperate delle immagini sottoesposte.
Questa una scena illuminata da luce diffusa (nuvoloso), quindi con ombre moderate e senza aree di forte illuminazione.
Situazione reale con pieno sole
Vediamo ora la stessa scena con sole pieno e addirittura in controluce.
Si nota un accentuarsi delle differenze tra aree scure e aree chiare rispetto alla precedente situazione, con luce diffusa.
Vediamo ora il possibile recupero usando la regolazione dell’esposizione di Camera RAW. A sinistra la foto originale, a destra recuperata. La foto centrale è quella con l’esposizione “corretta” indicata dall’esposimetro della fotocamera.
Analisi delle foto
La foto di mezzo, quella scattata seguendo le indicazioni della fotocamera, è palesemente scura e sottoesposta.
Questo accade perchè il suo sistema esposimetrico non è riuscito a leggere il sole come fonte di luce, ma l’ha considerata area fortemente illuminata (ricordate l’esempio della foto alla neve?).
Da questo ha immaginato che la scena fosse illuminata da una luce molto più forte di quella reale, e di conseguenza ha sottoesposto.
Ma nonostante sia sottoesposta, la foto non riesce però a rendere il cielo col sole ben visibile; e allo stesso tempo ha il resto troppo scuro.
Le immagini del bracketing sovraesposte permettono si di vedere bene la parte bassa della foto, ma il cielo sparisce nel bianco totale.
Viceversa, quelle sottoesposte permettono certamente una migliore visione del cielo, ma tutto il resto diventa completamente nero.
Nella prima situazione di luce, con il cielo nuvoloso e quindi senza il sole pieno nell’inquadratura, le cose andavano leggermente meglio, ma il bagliore delle nuvole che coprono il sole ha ingannato comunque l’esposimetro della fotocamera portandolo a sottoesporre.
Conclusioni tecniche
Da questa lunga analisi possiamo dedurre due punti fermi:
Errori di valutazione dell’esposimetro
l’esposimetro della fotocamera viene facilmente ingannato, sia da sorgenti luminose presenti nell’inquadratura, che da aree con colori chiari e che riflettono molto la luce (esempio della neve) oppure scuri che la assorbono altrettanto (esempio dell’edera).
Recupero dell’errore di esposizione
una esposizione errata si può recuperare, usando la funzione esposizione di Camera RAW (o LR), ma più è alto il valore di stop da recuperare maggiore è il danno provocato all’immagine, tanto nelle zone molto chiare che in quelle molto scure.
Esposizione corretta e foto ben visibile
A questo punto la domanda che tutti si pongono è: ma allora basta fare una corretta esposizione e la foto è ben visibile?
No, sembra un gioco di parole, ma le parole hanno un loro peso.
Tecnicamente parlando, l’esposizione corretta è quello scatto effettuato con impostazioni tempo/diaframma/ISO adeguati alla luce reale che investe la scena fotografata.
Diciamo, per semplificare, quella basata su una misurazione della luce diretta, e non di quella riflessa. Esistono infatti strumenti, detti appunto “esposimetri“, che servono a misurare la luce incidente sulla scena.
Ma abbiamo visto sopra nei due esempi reali come non sia affatto detto che la foto con esposizione corretta sia anche ben visibile.
La foto ben visibile (che comunemente si dice “ben esposta”) è una nostra idea visuale, un concetto, a differenza dell’esposizione corretta che è un dato fisico.
Sopra abbiamo visto una serie di scatti con bracketing da -3 a +3, eppure di quelle 7 foto non una mostrava la scena in maniera chiara, equilibrata e soddisfacente.
Dove era ben visibile il cielo, il resto era nero. O viceversa.
Siccome la foto deve comunicare qualcosa, siano informazioni o emozioni, o entrambe, ovvio che il suo contenuto deve essere ben visibile e comprensibile all’osservatore.
Questo è il fine di chi scatta: comunicare visivamente.
Per farlo deve esporre correttamente la scena, non troppo chiara e non troppo scura. Ma ci siamo resi conto, leggendo questo tutorial, che spesso anche con lo scatto esposto correttamente la scena non risulta ben visibile e comprensbile.
Leggibilità più che esposizione corretta
Dobbiamo fare quindi un salto in avanti culturale.
Dobbiamo introdurre il concetto di leggibilità, che è una precisazione dell’idea di foto ben visibile e ben esposta che si usa comunemente.
Il nostro principio guida deve quindi diventare quello della leggibilità dell’immagine, che è cosa diversa dalla corretta esposizione. Su questo vi rimando allo specifico tutorial per capire bene il concetto di leggibilità nella fotografia.
Quello della foto ben visibile o ben esposta è infatti un concetto mutevole che dipende da:
- scena che stiamo fotografando
- contenuto
- elementi presenti
- fonti di luce
- messaggio che vogliamo trasmettere.
Mentre la corretta esposizione è fatto di misurazioni e strumenti, rendere ben esposta (o meglio, perfettamente leggibile) la foto è fatto di sensibilità e occhio fotografico.
Ma – va detto – spesso anche di post produzione e di tecniche avanzate.
Qui sotto vedete una foto esposta correttamente e poi la stessa lavorata in PP, con apertura di ombre e riduzione luci, per renderla ben visibile, ossia leggibile.
Evidente come la seconda permetta di vedere molto meglio tutti i dettagli, tanto del terreno che del cielo.
Esporre nella realtà
Dopo questa lunga conversazione tecnica, concludiamo con una breve nota che vi spiega quali sono i casi che affronterete nella vostra realtà di fotografi.
Troverete, in ordine di difficoltà, situazioni in cui:
- lo scatto con una corretta esposizione è già di suo perfetto
- rispetto alla lettura dell’esposimetro dovete forzare una sovra o sotto esposizione, magari anche drastica, per ottenere la foto che volete
- uno scatto a esposizione corretta non è in grado di mostrare correttamente tutte le aree della foto che vi interessano, per cui dovrete lavorarla in PP per avere il risultato desiderato
- la situazione di luci nella scena è talmente estrema da rendere insufficiente la PP su un singolo scatto, per quanto esposto correttamente, e richiede l’applicazione di tecniche avanzate come HDR
Infine vi introduco alcuni elementi tecnici in merito a quanto detto poco sopra:
Scegliere cosa far vedere
La frenesia del tutto ben visibile porta a eccessi ed errori. Ma soprattutto diluisce in senso della foto. Non è detto, infatti, che tutto debba essere leggibile in una inquadratura.
Si deve leggere bene quello che conta, leggere quel che conta meno e quel che non conta può anche sparire nella luce o nell’ombra.
Recupero di errori di esposizione
Un conto è una foto che sia totalmente troppo scura o troppo chiara; ben altro è una immagine che ha solo delle aree che risultano erroneamente esposte a fronte del resto ben visibile.
La prima situazione non si può correggere se l’errore è eccessivo, come abbiamo visto sopra.
La seconda invece si può anche “lavorare” solo nelle zone errate agendo su ombre e luci, neri e bianchi, invece di modificare l’esposizione globale.
Perchè l’esposizione globale (quella usata sopra per recuperare le foto dei bracketing) modifica tutta la foto, mentre i parametri ombre e luci agiscono selettivamente su queste specifiche aree di luminosità.
Naturalmente il recupero, globale con il parametro esposizione, locale con gli altri come luci e ombre, può essere fatto entro certi limiti.
Solo se l’errore è minimo o comunque entro un valore che permette il reale recupero senza perdita di dettagli o comparsa di rumore.
Gamma dinamica
Altro punto da considerare infatti è che spesso la nostra scena potrebbe avere una gamma dinamica troppo ampia per la nostra fotocamera.
Ossia, la distanza (in termini di stop di esposizione) tra zone piu scure e zone più chiare è troppo ampia per poter essere coperta dalla capacità del nostro sensore di registrare correttamente bianchi e neri allo stesso tempo.
Questo concetto è riassunto nel termine gamma dinamica e vi suggerisco l’apposito tutorial per capire bene cosa sia.
HDR
Per risolvere le situazioni con gamma dinamica più ampia di quella gestibile dalla fotocamera si ricorre alle tecniche HDR. Cui dedichiamo una serie di specifici tutorial.