fotografo Claudio Brufola

La fotografia secondo Claudio Brufola

D. Quando e come ha scoperto la fotografia?

R. Per caso per la mia innata curiosità, ritengo. Ho iniziato durante i corsi universitari a fotografare microbi e virus attraverso il microscopio. Ovviamente il “campo” era troppo stretto e ho voluto aprire la mia finestra sul mondo. Negli anni settanta, fortunatamente, ancora non esisteva il digitale e per realizzare un servizio fotografico non era semplice trovare molti bravi fotografi corrispondenti in ogni angolo del mondo, per cui ho iniziato a viaggiare per diversi committenti, fotografando ciò che mi veniva richiesto di volta in volta.

D. Ci racconti il suo primo approccio a quest’arte:

R. Essenzialmente per passione, volendo esprimere un “malessere generazionale”, erano gli anni ’70, riuscii a fare della fotografia il mio “sfogatoio intellettuale”. Ora mi definirei un fotografo corporate, ovvero colui che si occupa di raccontare storie di aziende che, nel mondo, hanno lasciato la loro impronta di progresso e di sviluppo, creando anche benessere sociale. Ho avuto anche esperienze di “fotografia stanziale”, ma il banco ottico e le ristrette pareti di uno studio non si confacevano alla mia voglia di conoscere e condividere, per cui intrapresi la strada del fotogiornalismo o reporter che dir si voglia. Viaggiare, vivere fuori dagli schemi, hanno posto le basi del mio carattere. Scovare, capire, raccontare, in sintesi sono gli aggettivi per definire la fotografia.

D. Ricorda la sua prima foto?

R. Sì, l’immagine di un escherichia coli, un batterio ripreso con un microscopio a scansione elettronica, montava una Pentax 35 mm.

D. Qual è stato il suo percorso di crescita e apprendimento dell’arte fotografica?

R. Passando dalle aule universitarie alla vita reale, mi sono posto il problema di come sviluppare, culturalmente e professionalmente, questo mestiere. Nel decennio ‘70/’80 la quotidianità era la fotografia, molti gli autori che segnarono con i loro profili quest’arte: David Goldblatt, Christian Boltanski, Anders Petersen, Cindy Sherman ed io osservai, studiai ed iniziai a fotografare.

D. E quali le sue tappe più significative?

R. Fu un continuo crescere, ma vere e proprie tappe non ci sono state. Due gli aspetti che delineano la mia vita, il più importante fu ovviamente riuscire a vivere con i frutti economici di questa professione, il secondo, ma non per importanza, fu la mia prima pubblicazione. Un reportage che ebbe come soggetto un’antica fonderia di campane nel cuore di Roma antica, Borgo Pio, là dove un tempo era la Fonderia Lucenti. Il mio primo impegno edito dalla 3M, la multinazionale dell’immagine visiva made in USA , che realizzò poi la pubblicazione.

D. Cosa rappresenta per lei la fotografia in termini emotivi?

R. Il potere di fermare il tempo, di congelare le mie emozioni e poterle rivivere all’infinito.

D. E pratici?

R. La possibilità di vivere decentemente, svolgendo uno dei mestieri più soddisfacenti e appaganti che io possa immaginare.

D. Fotografa per lavoro o per diletto?

R. Per passione.

D. Come è nata la voglia di viaggiare e di documentare determinate situazioni?

R. Diciamo per necessità. Se vuoi raccontare storie che siano distanti dal tuo ambiente devi necessariamente spostarti.

D. Qual è la sua foto più significativa?

R. Beh, diciamo uno scoop. Ero a Milano per seguire l’allora AD di Telecom e scattai una foto con lui ed un altro personaggio sconosciuto ai più. Si rivelò in seguito l’unica immagine in circolazione dove apparivano assieme: Tronchetti e Tavaroli, capo della security. I due fecero notizia per gli scandali che tutti conosciamo, di cui a distanza di anni ancora si parla, spesso quello scatto è ancora pubblicato. Invece sono molto affezionato ad un’immagine che ritrae due grandi uomini uno di fronte l’altro: l’allora Presidente Pertini e il nostro indimenticabile Eduardo De Filippo, due grandi che segnarono un’epoca, che sinceramente oggi rimpiango. Un quotidiano ci fece la metà della terza pagina, eroi positivi e simbolo d’amore per l’Italia d’allora.

D. Quali sono le difficoltà che si incontrano nella sua attività di fotoreporter? E gli aspetti positivi?

R. “Mala tempora currunt”. L’attuale situazione economica di profonda crisi, specialmente in Italia, vede questo settore molto penalizzato. Se poi aggiungiamo la nostra scarsa cultura fotografica, il “patatrac” è fatto. L’editoria è in crisi profonda e sul web non si sta meglio per quanto riguarda l’uso e la vendita di immagini. Tieni conto che molti colleghi con nomi notissimi e con splendide carriere, ora non disdegnano di realizzare servizi fotografici per magazine con stili narrativi molto lontani dai loro, un segno dei tempi.

D. Quali sono gli aspetti che più ama, della sua professione?

R. Uno in particolare, la libertà di decidere come raccontare il mondo.

Maestri e grandi fotografi per Claudio Brufola

D. C’è stato un incontro con qualcuno che si rivelato importante per la sua crescita?

R. Sempre negli anni ottanta, le situazioni della nostra professione erano molto differenti e la competizione tra reporter, specialmente a Roma, era molto accesa. Si seguiva la politica, personaggi del mondo della finanza e dell’economia, spesso ti trovavi con altri venti colleghi a “stare” sullo stesso avvenimento e dovevi essere tu a raccontarlo, al meglio e per primo. Per cui diciamo che “la strada” è stata un’ottima maestra.

D. Ha avuto un vero e proprio “maestro”?

R. Direi di no, questo è un mestiere che “si ruba con gli occhi”.

D. Per lo stile, ha fatto riferimento a quale grande fotografo mondiale?

R. No, direi di no.

D. Chi sono i “grandi” di ogni epoca che ammira di più?

R. Beh, quelli della mia generazione, Robert Adams, Laurie Anderson, Claudia Andújar, Victor Burgin, William Eggleston, Hans Peter Feldman, Alberto García-Alix, Karen Knorr, Víctor Kolár, Ana Mendieta, Fina Miralles, Gabriele & Helmut Nothhelfer, J. D. Okhai Ojeikere,

D. Il preferito in assoluto?

R. Herb Ritts.

fotografo Claudio Brufola

Gli scatti di Claudio Brufola

D. Cosa le piace fotografare?

R. La vita.

D. Qual è il suo soggetto preferito?

R. L’uomo.

D. E il genere?

R. Non ho un genere di riferimento.

D. Ci racconti il suo concetto di inquadratura:

R. Tutto quello che sta dentro l’obbiettivo. La profondità delinea poi i soggetti.

D. Che tipo di luci preferisce?

R. La luce fa la fotografia, per cui ogni luce ha il suo motivo d’essere.

D. Quale nuovo genere di fotografia vorrebbe esplorare?

R. Non credo si possa dividere la fotografia in generi, è come la musica, buona e meno buona.

D. Usa tecniche fotografiche speciali, come il macro ?

R. No.

D. Usa il bianco/nero con il digitale? Se sì, ci parli di questa tecnica e di come la interpreta.

R. Il BW perde un elemento che è appunto il colore, ma il suo linguaggio neorealista lo pone per drammaticità al primo posto tra i nuovi stili fotografici, quelli che definirei “sporchi”. Lo uso ma non mi appassiona più di tanto, è molto usato invece dai colleghi che raccontano la morte, la sofferenza, il disagio, temi a me non congeniali.

Claudio Brufola e il fotoritocco

D. La sua opinione sul fotoritocco:

R. Deve essere usato da chi ne ha le capacità, le competenze e la cultura tecnica per migliorare una fotografia, un soggetto.

D. Quali sono, secondo lei, i limiti etici al fotoritocco?

R. Nessuno.

D. E’ lecito intervenire per migliorare luci e toni di una foto?

R. Certo che sì.

D. E per rimuovere elementi di disturbo?

R. Assolutamente sì.

D. E aggiungere elementi, cieli oppure oggetti?

R. Digital Art, il futuro, perché no.

D. Che software usa per il fotoritocco?

R. Non me ne occupo io personalmente.

D. Che tipo di interventi fa di solito?

R. In post produzione i soliti, quelle apps che usano tutti: livelli, contrasto, luminosità.

fotografo Claudio Brufola

Claudio Brufola: RAW, JPG e TIF

D. In che formato scatta di solito?

R. Raw.

D. Se scatta in RAW, che software usa per aprirle i file?

R. Per “sviluppare” i file uso Capture.

D. Ha mai provato con LightRoom? Se sì, cosa ne pensa?

R. Sì per curiosare, ma non ne vedo la necessità, i miei interventi sono minimi e non seguo le “lucine”, non mi appassiono mai allo strumento, al mezzo in quanto tale. Vorrei stare il meno possibile di fronte al monitor, questo sì. I software li sfrutto pochissimo per le loro innumerevoli prestazioni, immagino addirittura infinite.

Informazione

D. Legge riviste di fotografia? Se sì, quali?

R. Se intendi specializzate, le sfoglio quando mi capita, ma vedo una penuria di riviste fotografiche; in maggioranza vengono pubblicati cataloghi pubblicitari, con pochissima cultura fotografica e uso all’immagine. Non credo ci siano riviste di “fotografia” come erano Life o il nostro Europeo, qualsiasi rivista oggi ha “molta fotografia”, a volte anche molto bella, ma spesso imbarazzante. Ritengo che al grande pubblico non arrivi più la Fotografia come racconto, come evocazione, come interpretazione della realtà.

D. Consulta siti web di fotografia?

R. Difficile definire un sito web di fotografia, spesso osservo siti web personali di colleghi molto più
bravi e meritevoli di me.

D. Ne consulta alcuni in maniera abituale, considerandoli un punto di riferimento?

R. No, proprio no, li trovo in generale molto noiosi e ripetitivi.

D. Partecipa a workshop o seminari?

R. Certo, partecipo e li tengo. La formazione è importante in ogni professione.

D. Cosa pensa dei workshop?

R. Al 90 % sono tenuti da analfabeti per la gioia di fotoamatori voyeurs, con la “ragazzotta” di turno seminuda. Purtroppo anni e anni di TV commerciale hanno segnato duramente le nostre coscienze.

D. Fa parte di un circolo fotografico?

R. No, ma ne apprezzo le intenzioni.

D. E di una associazione di settore?

R. Certamente sì, Fpa Fotoreporter Professionisti Associati e Fiof Fondo Internazionale per la Fotografia.

D. Va a fiere e saloni di fotografia?

R. No, ripeto i “mezzi” non mi appassionano e poi oggi con i contenuti informativi di internet le fiere di settore sono anacronistiche, non hanno più senso di esistere.

D. Cosa ne pensa, li trova utili?

R. Assolutamente no.

fotografo Claudio Brufola

Mostre

D. Visita mostre di fotografia?

R. Sì, ogni tanto.

D. Quali sono quelle che ha apprezzato di più in assoluto?

R. Le mie.

D. Qual è stata l’ultima visitata?

R. “Album segreti”, della Rampling, ero lì per altre cose, una vera perdita di tempo.

D. La mostra che vorrebbe vedere?

R. Una collettiva dei migliori giovani talenti italiani. Spero un giorno si possa realizzare.

D. Ha realizzato sue mostre fotografiche? Se sì, dove e quando?

R. Certo, in Italia, in Russia e in Cina. E come curatore ne ho realizzate in varie città della Cina in questi ultimi anni.

D. Ci racconti la più emozionante tra queste esperienze:

R. L’ultima mia esibizione di questo anno, “Dietro il palco con Mary”. Importante per me, perché per la prima volta l’Agenzia di stampa cinese Xinhua New Agency ha ospitato nella sua galleria, a Beijing, le mie foto. Un servizio pubblicato nel 2012 su Photo World Magazine, la più importante rivista di fotografia cinese.

Le attrezzature di Claudio Brufola

D. Attualmente, quali fotocamere usa?

R. Lavoro con le D3 della Nikon.

D. E quali obiettivi?

R. Quasi tutti.

D. L’obiettivo che usa più spesso?

R. 35 mm.

D. Quali flash?

R. Non li uso da molto tempo.

D. Quali cavalletti e teste?

R. Non li uso.

D. Quali altri attrezzature o accessori usa?

R. Un computer portatile, ovviamente.

D. Utilizza filtri?

R. No, non ne uso.

D. Qual è stata la sua prima macchina?

R. La Nikon F2 Photomic, un capolavoro meccanico.

D. Come si è evoluta nel tempo la sua attrezzatura?

R. Come per tutti i professionisti, sono stato obbligato ad abbandonare il film per i pixel. Per cui ho devoluto negli anni ingenti somme di denaro nelle casse della Nippon Kogaku Kogyo, oggi Nikon Corporation, della Mitsubishi.

D. Ha mai fatto un cambio integrale di marca?

R. No, mai.

D. Dove acquista di solito le attrezzature? Fa spese online?

R. Rivenditori locali, online a volte per piccoli importi, per software.

Claudio Brufola e la nostalgia della pellicola

D. Lavora ancora in pellicola?

R. No.

PRO – Claudio Brufola in studio

D. Come è fatto il suo studio fotografico?

R. Il mio studio è molto simile ad un ufficio open space, con una parte riservata all’accoglienza.

D. Dove si trova?

R. A Roma.

D. Quali sono le attrezzature specifiche da studio?

R. Vari computer e periferiche per la stampa Fine Art.

D. Che genere di fotografia vi realizza?

R. Nessuna.

Info

  • Nome: Claudio
  • Cognome: Bru
  • Indirizzo: Via dei Frassini, 35
  • Città: Roma
  • Telefoni: +39 0623231313
  • Email: info@eblu.it
  • Sito web: www.eblu.it

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