La fotografia di cerimonia secondo Max D’Alessandro
D. Quando e come ha scoperto la fotografia?
R. Da piccolissimo ascoltavo i suggerimenti di padre, fotografo amatoriale ma tecnicamente capace di scattare con una fotocamera priva di ogni automatismo, esposimetro incluso; ogni scatto era studiato e preparato, ma si riusciva a vederne il risultato solo qualche settimana dopo (bisognava ovviamente finire il rullo, scattando tutte le foto: 36, all’epoca, tante…). A 15 anni ho poi iniziato ad approfittare della reflex di mio fratello maggiore, anche lui appassionato di fotografia, con il quale – da allora – condividiamo scatti, tecnica, informazioni.
D. Ricorda la sua prima foto?
R. Mi ricordo bene di una delle mie primissime foto perché mi permise di ricevere il terzo premio di un concorso fotografico. Un sogno. In realtà partecipavo ad una vacanza organizzata ed il concorso era rivolto agli aderenti; solo crescendo compresi che lo scatto – del quale ero ovviamente orgoglioso – ritraeva una banalissima margherita di campo e che i premi erano stati assegnati per rendere la vacanza più gradevole, anche i ragazzi… La delusione però mi stimolò a saperne di più, a leggere, ad osservare i lavori dei grandi fotografi.
D. Ha avuto un vero e proprio “maestro”?
R. Le mie prime foto, come per molti all’inizio, riguardavano tramonti, fontane, montagne. Poi rimasi colpito dalle foto di un amico reporter: di ogni angolo del Mondo fossero, le persone ritratte avevano sguardi che riuscivano a trasmettere pensieri, sentimenti, vita… eppure rimanevano ben statiche sulla carta stampata. Inoltre, in qualsiasi situazione si trovassero – dalle signorili vie di Praga al fango delle favelas brasiliane – comunicavano un forte senso di speranza, di positività. Iniziai così, dall’oculare della mia fotocamera, ad osservare le persone in modo diverso, cercando di comprendere – tutte le volte – quale fosse la loro storia, cosa provassero in quell’istante, cosa desiderassero per il futuro. Gabriele è stato quindi il mio ispiratore, gli devo molto.
D. Qual è stato il suo percorso di crescita e come si è avvicinato alla fotografia di cerimonia? E quali le tappe più significative del suo percorso professionale?
R. Avendo iniziato nel tempo ad “osservare le emozioni” e ricevendone gratificazione, mi ha attratto l’idea di poterlo fare in modo privilegiato: in uno dei giorni più intensi della vita delle persone. Con il reportage matrimoniale ho incominciato quindi ad avere l’opportunità di riprendere sguardi colmi di profonda gioia, di commozione, consapevoli di un futuro nuovo. Oggi mi è chiaro che i miei “scatti spontanei” (divenuto poi il nome del mio studio) – che cerco di effettuare in modo più discreto possibile – prendono vita quando anch’io mi emoziono, quando i soggetti mi coinvolgono, quando rivivo le meravigliose sensazioni dello sposarsi. E mi succede tutte le volte… E quando vengo anche invitato ad inserirmi nei brindisi augurali, significa probabilmente che il mio coinvolgimento è stato notato.
D. Quali sono i problemi principali della fotografia di cerimonia in Italia attualmente?
R. Ce ne sono diversi, ne evidenzio un paio. Il primo è, da parte di un numero crescente di coppie, il criterio di pre-selezione del fotografo; il tempo è poco per tutti, lo riconosco, ed il periodo impone necessariamente scelte oculate, ma richiedere preventivi per e-mail a tanti professionisti, senza conoscerli e senza fornir loro alcuna informazione sullo svolgimento dell’evento nuziale, conduce di fatto a svolgere la scelta basandosi su elementi fittizi e su criteri meramente “tecnici”. Temo necessario, a tal proposito, ricordare che i fotografi svolgono un servizio, non vendono prodotti (album, fotolibri, stampe) e che quindi possono farlo con modalità, stile, organizzazione, tecniche, ecc. molto differenti tra loro. Inoltre costui – seppur discreto – sarà comunque “presente” durante l’intera giornata e di certo notato da tutti… Conoscerlo di persona, assicurarsi che il reportage sia effettuato in modo reale (se lo si preferisce agli scatti in posa), farsi consegnare un preventivo scritto, dettagliato e personalizzato, sono alcuni degli elementi che non dovrebbero mancare mai nella selezione e che possono poi avere riflessi sia sul buon andamento dell’evento che sul risultato finale delle foto.
Un secondo problema è l’assenza di un albo professionale e di una regolamentazione specifica ed attuata in modo efficace. Ci si confronta con un mercato “impazzito”, nel quale si stanno inserendo soggetti di dubbia professionalità (non solo tecnica), talvolta senza partita IVA ed autorizzazioni. Certo, costano poco…
Gli scatti di Max D’Alessandro
D. Quali sono i suoi soggetti preferiti nella cerimonia?
R. Sarà banale, ma sono proprio gli sguardi – al settimo cielo – degli sposi e poi gli abbracci. Ma in ogni mio servizio fotografico non manca mai una foto nella foto, cioè l’immagine del display di una macchina fotografica o di un cellulare che sta inquadrando sposi o parenti. Un mio piccolo marchio distintivo.
D. Qual è il momento fotograficamente più cool nella cerimonia?
R. La comunione: sparita la tensione dai visi dopo lo scambio delle fedi, gli sposi – non osservati dal sacerdote che è tra i banchi – iniziano spesso a scambiarsi sguardi complici, silenziose battute, sorrisi, a prendersi per mano.
D. Che genere di fotografia preferisce per raccontare la cerimonia?
R. Il mio studio si chiama “scatti spontanei” e indica il mio modo di fare fotografia sempre, non solo durante la cerimonia, ma per tutta la giornata, per ogni tipo di evento, per tutto l’anno.
D. Ci spieghi il suo concetto di inquadratura per la cerimonia:
R. Un aspetto per me sempre importante è cercare di essere discreto, silenzioso e poco visibile durante la cerimonia; mi posiziono quindi – per quanto possibile – in luoghi nascosti e defilati. Questo spesso mi permette anche di avere lo stesso “punto di vista” dei partecipanti. Scattando inoltre con focali comprese tra i 30 ed i 70 mm (simili alla visione dell’occhio umano), cerco di creare immagini che – durante la visione – possano restituire la sensazione di essere presenti alla cerimonia. Non mancano comunque primi piani e qualche panoramica di ambientazione.
D. Che tipo di luci preferisce usare?
R. Di sicuro la luce naturale e le luci artificiali fisse presenti nella scena. Il motivo è lo stesso: le foto devono far ricordare la cerimonia esattamente come gli occhi di tutti l’hanno vista e vissuta.
D. Usa il bianco/nero con il digitale? Se sì, ci parli di questa tecnica e di come la interpreta.
R. Adoro il bianco/nero, conferisce a (quasi) tutte le immagini un’alea di ricordo, di “passato”. Ne accentuo molto il contrasto e, talvolta, non cancello foto con un lieve micromosso o con un po’ di “grana”. A mio avviso l’emozione va oltre i confini del purismo dell’immagine: meglio uno scatto imperfetto pieno di sentimento che una foto in posa tecnicamente perfetta… È come per la musica: come non ascoltare le incisioni degli anni ’50, di qualità audio mediocre, di Oscar Peterson?
D. Oltre alla cerimonia, cosa le piace fotografare?
R. Il momento successivo. Passata la strizza dei preparativi, ricevuta sulla testa qualche manciata di riso e baciati infiniti invitati, gli sposi, magari in una breve passeggiata – rimasti finalmente soli – iniziano ad acquisire consapevolezza di quanto è appena avvenuto ed a scambiarsi le prime impressioni, a ricordare qualche piccolo eventuale errore nella cerimonia, a pensare al viaggio; quel momento è magico, pieno di tenerezza, di dolcezza. Con un teleobiettivo, da lontano, spesso colgo buone immagini. E poi ci sono i brindisi augurali, un bel momento “vivo”; vengono fatti spontaneamente da persone care agli sposi, arrivate da chissà da quale luogo per condividere con loro quel giorno, per augurar loro il miglior futuro possibile. Sono sempre sentiti e sinceri.
Max D’Alessandro e la post-produzione
D. La sua opinione sulla post-produzione:
R. E’ come il make-up su un viso femminile: deve valorizzare quanto di buono è presente, senza essere esso stesso visibile ed invadente. A maggior ragione, banditi gli “effetti speciali”: solarizzazioni, viraggi estremi, tralasciando il resto; le ritengo alterazioni che disturbano e rovinano l’immagine e che, sono convinto, passeranno di moda.
D. Quali sono, secondo lei, i limiti etici alla post-produzione?
R. Questo è un tema molto dibattuto. Proprio pochi giorni fa (fine gennaio 2014) un famoso reporter, vincitore in passato del premio Pulizer, è stato licenziato in tronco dalla sua agenzia di stampa per aver alterato una sola foto. Eccessivo? Forse no – nel reportage di cronaca – anche se aveva solo rimosso una videocamera di un altro giornalista presente in un angolo della foto, non alterando il soggetto principale e soprattutto la realtà complessiva della scena. La fotografia matrimoniale penso possa avere canoni un po’ meno rigorosi, ma personalmente ritengo che non debbano essere modificate le persone (che comunque, se felici, sono sempre belle). In ogni caso, nei miei corsi di fotografia avvio sempre un dibattito su tale limite etico.
D. E’ lecito intervenire per migliorare luci e toni di una foto?
R. Ritengo di si. I sensori delle fotocamere digitali, anche professionali, a volte acquisiscono immagini con una temperatura colore differente da quella presente nella scena, alterandone la realtà; questa a mio avviso va ripristinata, assieme alla luminosità, per riportarla a quanto l’occhio umano ha visto nello stesso istante.
D. Che software usa per la post-produzione?
R. FastStone Image Viewer per la selezione, Lightroom CC per l’elaborazione dei RAW, PhotoShop CC per il resto.
D. Che tipo di interventi fa di solito?
R. Ritaglio, rotazione, luminosità, contrasto e temperatura colore.
Max D’Alessandro: RAW, JPG e TIF
D. In che formato scatta di solito?
R. A seconda dell’evento, RAW su doppia scheda di memoria oppure RAW + JPEG (solo di backup).
D. Ha mai provato con LightRoom? Se sì, cosa ne pensa?
R. Lo uso molto ed è eccellente.
Informazione
D. Legge riviste di fotografia o consulta siti web di fotografia? Ne consulta alcuni in maniera abituale, considerandoli un punto di riferimento?
R. Consulto quotidianamente diversi siti web, istituzionali, commerciali, blog, con rumors, di associazioni, con test di fotocamere. Con l’avvento del digitale rimanere aggiornati, anche tecnicamente, è fondamentale.
D. Partecipa a workshop o seminari?
R. Purtroppo pochi, spero di riuscire a seguirne di più in futuro.
D. E fa parte di una associazione del settore?
R. Sono membro della Wedding PhotoJournalist Association, associazione americana presente 150 stati che associa, tramite selezione, wedding reporters. Valuterò comunque anche altre associazioni italiane.
D. Va a fiere e saloni di fotografia? Cosa ne pensa, li trova utili?
R. Attualmente, a mio avviso, fiere e saloni dedicate al settore del wedding sono il modo più efficace per raggiungere un gran numero di potenziali clienti. Nell’ultima fiera a cui ho partecipato con il mio staff abbiamo consegnato oltre 2.000 biglietti da visita ed io personalmente ho parlato con circa 500 coppie.
Mostre di fotografia
D. Visita mostre di fotografia?
R. Quando riesco ci vado sempre, a volte torno in quelle già viste tempo prima. Non si può non imparare dai grandi…
D. Quali sono quelle che ha apprezzato di più in assoluto?
R. Sebastião Salgado per come riesce a descrivere popoli, luoghi e ambientazioni, Henri Cartier-Bresson per la purezza delle composizioni (il Mozart della fotografia), Robert Capa per come riesce a far ri-vivere la drammaticità e la solennità della Storia.
D. La mostra che vorrebbe vedere?
R. A breve con alcuni amici con cui condivido questa passione andremo a vedere la mostra di Kazuyoshi Nomachi, al Museo di Arte Contemporanea di Roma (MACRO).
Le attrezzature di Max D’Alessandro
D. Attualmente, quali fotocamere usa?
R. Non vorrei essere pretenzioso, ma sono in attesa che Nikon produca una fotocamera professionale adatta alle mie esigenze: almeno 6 scatti al secondo e almeno 24 MPx. Attualmente uso una Nikon D600, che soddisfa questi requisiti, e come secondo corpo una Nikon D7100.
D. E quali obiettivi?
R. 18-35mm f/3.5-4.5, 24-70mm f/2.8, 70-200mm f/4, 50mm f/1.8, tutti Nikon.
D. L’obiettivo che usa più spesso?
R. 24-70mm f/2.8
D. Quali flash?
R. SB-910, SB-600, entrambi Nikon.
D. Qual è stata la sua prima macchina?
R. Nikon F-301.
D. Come si è evoluta nel tempo la sua attrezzatura?
R. Compreso il periodo in cui ero un amatore: F-301, F-601M, F-801s, F90X, F100, D1x, D70, D80, D300, tutte Nikon. Di obiettivi ne ho cambiati diversi.
D. Ha mai fatto un cambio integrale di marca? Se sì, perché?
R. Mai cambiato marca, anche perché per un professionista significherebbe svendere tutto e ricomprare tutto nuovo. Tuttavia, alcune politiche recenti di Nikon stanno facendo un po’ discutere.
D. Dove acquista di solito le attrezzature? Fa spese online?
R. Gli acquisti delle attrezzature li effettuo sempre in un paio di rivenditori ufficiali Nikon di Roma. Alcuni accessori li compro on-line.
Max D’Alessandro e la nostalgia della pellicola
D. Lavora ancora in pellicola?
R. No. Il digitale, seppur con i suoi difetti, nel tempo ridottisi, ha apportato un’enormità di vantaggi. In ogni evento eseguo almeno 3.000 scatti, con punte di 6.000: già solo questo…
Max D’Alessandro in studio
D. Se lo utilizza, com’è fatto il suo studio fotografico?
R. Occupandomi di fotografia spontanea scatto solo in esterna e quindi non ho una sala di posa; nel mio studio ricevo i clienti, effettuo la post-produzione, il collazionamento dei prodotti e tutte le attività connesse.
Info di contatto
- Nome: Max
- Cognome: D’Alessandro
- Cinecittà EST, Roma
- Telefoni: 06 92917334 – 335 7163281
- Email: max@maxdalessandro.it
- Sito web: www.maxdalessandro.it
2 Comments
Alessandro · 15 Febbraio 2014 at 13:20
Molto interessante l’approccio più rivolto alla persona e alle emozioni che alla tecnica in se, e mi sembra che i risultati si vedano.
Bella la scelta del bianco nero che dona eleganza alle immagini.
Complimenti.
Alberto biscarini · 16 Febbraio 2014 at 15:02
Caro Max penso davvero che hai la classe del grande fotografo di sensazioni ,bravo,continua……
Alberto